Mussolini e il re del Belgio han messo di moda, tra i
torinesi, la visita alla Fiat.[...] La Fiat è alla periferia estrema
di Torino: ci si va con un tram che attraversa tutta la città, senza
passar nel centro, sempre per vie fuori mano, che per trovarle bisogna
andarci apposta. Si passa dal Valentino tra la nebbia, anche a mattina
inoltrata; itinerario nordico senza il bel sole italico, senza indulgenza
al paesaggio. Clima eretico: uomini intirizziti, che non han tempo di sonnecchiare
e che il freddo rende acuti e quasi goffamente frettolosi [..]. Il Valentino
offrirebbe consolazioni romane, ma solo di pomeriggio, col sole, quando
le bambinaie vi conducono i marmocchi e stanno ad ascoltare gli ingannevoli
e dilettosi idilli di studenti ed ufficialetti a spasso, imparando quanto
siano irresistibili Minerva e Marte, se vi aggiungi la seduzione di artificiali
boschetti e il canto monotono del fiume che scorre là dietro gli
alberi. Gli operai ci passan di mattino, gli occhi intenti sul giornale
che ancora odora di grassi inchiostri da rotativa; quando escono dopo otto
ore di fatica nessuna lusinga di natura li riconcilierebbe col mondo. C'è
un altra poesia nei loro cuori, che sdegnano i teneri sorrisi e gli incanti
dei giardini artificiali. La loro psicologia è dettata dalla macchina
e dalla vita di fabbrica. Ci recammo alla Fiat giovedì mattina presto:
c'erano quasi tutti gli scrittori di
"Rivoluzione Liberale", che si lasciavano leggere negli
occhi l'orgoglio di essere stati i primi teorici di quella vita industriale,
e un nugolo di soci della "Cultura", che andavano, da buoni borghesi, per
imparare. E il più bello della visita era nella curiosità
di questi osservatori, negli occhi stupefacenti di chi è uso alla
letteratura e si trova in un cortile di officina. Chi entra nella Fiat
può credere di trovarsi in un grande albergo moderno, pulito, con
scale simmetriche, con grandi porte a vetri. Tutto bianco, niente decorazioni,
i soli mobili indispensabili: squallido, ma grandioso. Nel primo palazzo
che vi accoglie non si lavora: ci sono uffici e scuole. L'americanismo
comincia con la filantropia; una filantropia fatta di calcolo e di utile
reciproco. L'idea deve essere stata di Agnelli, l'uomo delle intuizioni
e delle accortezze psicologiche. Non si capirebbe la fortuna della Fiat
e la sua popolarità tra le folle se non si pensasse a queste qualità,
diciamo pure poetiche, di Agnelli: il capitano d'industria che sa capire
e sfruttare (negli altri!) il valore del disinteresse, l'uomo che sa conquistarsi
le
simpatie col sorriso .[...] Agnelli capisce il valore
delle forme e dei gesti, l'utilità di sapersi mostrare non aridi,
proprio quando l'impresa è fondata sull'aridità e sul commisurare
i prezzi di un uomo e della sua vita a i prezzi delle macchine. Agnelli
ha le sue risorse poetiche, come quando salutò Mussolini a nome
di Torino, prima che parlasse il prefetto, scavalcando tutte le gerarchie.
Al tempo delle agitazioni socialiste era il solo industriale che riuscisse
a trattare con le masse; alle quali confidava piacevolmente che sarebbe
rimasto loro imprenditore in regime collettivista. [...] In Agnelli sotto
l'istinto del despota, si sente lo spirito della moderna democrazia industriale,
nutrita di finanza e di politicantismo, malata di demagogia tribunizia,
ma fatalmente suscitatrice di correnti popolari, di rigorosi entusiasmi
autonomi, di senso del sacrificio e di volontà di libertà.
Invece, entrando nei veri e propri stabilimenti del lingotto, si ha la
sensazione di un altro ambiente e di un'altra organizzazione. Dal "Laboratorio
prove materiali" al "Montaggio", dal primo all'ultimo piano (con pista
di collaudo sopraelevata, a ventisette metri di altezza), tutto procede
secondo il più rigoroso taylorismo. L'ingegnere che ci accompagna
ci spiega come i pezzi non tornano mai indietro; sottoposti ai più
formidabili processi, si trasformano, si fondono, si riuniscono fino a
formare una delle sessanta macchine che, oggi, in periodo di disoccupazione,
si producono quotidianamente. Per descrivere il cammino di questa
materia Ariosto cercherebbe immagini infernali. I magli poderosi spaventano
con le loro scintille i visitatori letterati. Sembra che per resistere
a questa vita quotidiana sia necessaria un'anima eroica. Invece tutto è
semplice, normale, sicuro: qui domina l'anima dell'ingegner Fornaca, il
rovescio della medaglia di cui Agnelli è la fronte; il punto arido
e feroce, lo spirito d'ordine e continuità, il fanatico freddo e
inesorabile, che ogni giorno deve foggiare dalla materia grezza 60 nuove
automobili secondo il sistema di divisione del lavoro a cui egli presiede.
E' il dominatore senza indulgenza, il sacrificato, la vittima. Se Agnelli
è il capitano, egli deve essere lo sbirro, innocente eroe del regime
capitalista. Per Fornaca la Fiat deve essere un orologio: e i congegni
contano per la puntualità secondo il prezzo; gli uomini secondo
il costo del premio di assicurazione sulla vita. Mentre la nostra
guida spiega i congegni ed enuncia cifre épatantes io guardo
gli uomini. Hanno tutti un atteggiamento di dominio, una sicurezza senza
pose; e pare che in noi vedano dei dilettanti ridicoli da considerare con
disprezzo. Hanno la dignità del lavoro, l'abitudine al sacrificio
e alla fatica. Silenzio, precisione, presenza continua; una psicologia
nuova si tempra a questo ritmo di vita: il senso di tolleranza e di interdipendenza
ne costituisce il fondo severo; mentre la sofferenza contenuta alimenta
con l'esasperazione le virtù della lotta e l'istinto della difesa
politica. Quando Mussolini venne a cercare il loro applauso, questi operai
dovettero guardarlo col muto disprezzo che leggo adesso nei loro occhi.
Essi sanno far rispettare le distanze.
I dilettanti, i dinamici, traggono un sospiro di
sollievo quando si giunge all'ultimo piano dello stabilimento: sulla pista.
Peccato che ci sia ancora la nebbia fitta! Non si può godere il
panorama, gustare la poesia delle Alpi nevose! La nostra guida ci ricorda
la gioia di Mussolini
quando fu quassù, nella palestra di Nazzaro e
di Bordino, lontano dagli operai diffidenti e noiosi. Ricorda il giro fatto
dal re del Belgio a 140 Km, dalla regina a 137. Siamo all'aria aperta;
nel regno della velocità, spettacoli, feste. La vita è dei
dinamici, dei più veloci. Le
fantasie meridionali sono soddisfatte. Marinetti dirà
il canto dei motori: parole in libertà ed entusiasmi consolanti.
Sotto si prepara la morale del
lavoro, la civiltà dei produttori.
vai alla HOME PAGE