I testi del CDRC

Piero Gobetti, "Visita alla Fiat",
dicembre 1923, Scritti Politici pag. 553 sgg.



Mussolini e il re del Belgio han messo di moda, tra i torinesi, la visita alla Fiat.[...] La Fiat è alla periferia estrema di Torino: ci si va con un tram che attraversa tutta la città, senza passar nel centro, sempre per vie fuori mano, che per trovarle bisogna andarci apposta. Si passa dal Valentino tra la nebbia, anche a mattina inoltrata; itinerario nordico senza il bel sole italico, senza indulgenza al paesaggio. Clima eretico: uomini intirizziti, che non han tempo di sonnecchiare e che il freddo rende acuti e quasi goffamente frettolosi [..]. Il Valentino offrirebbe consolazioni romane, ma solo di pomeriggio, col sole, quando le bambinaie vi conducono i marmocchi e stanno ad ascoltare gli ingannevoli e dilettosi idilli di studenti ed ufficialetti a spasso, imparando quanto siano irresistibili Minerva e Marte, se vi aggiungi la seduzione di artificiali boschetti e il canto monotono del fiume che scorre là dietro gli alberi. Gli operai ci passan di mattino, gli occhi intenti sul giornale che ancora odora di grassi inchiostri da rotativa; quando escono dopo otto ore di fatica nessuna lusinga di natura li riconcilierebbe col mondo. C'è un altra poesia nei loro cuori, che sdegnano i teneri sorrisi e gli incanti dei giardini artificiali. La loro psicologia è dettata dalla macchina e dalla vita di fabbrica. Ci recammo alla Fiat giovedì mattina presto: c'erano quasi tutti gli scrittori di
"Rivoluzione Liberale", che si lasciavano leggere negli occhi l'orgoglio di essere stati i primi teorici di quella vita industriale, e un nugolo di soci della "Cultura", che andavano, da buoni borghesi, per imparare. E il più bello della visita era nella curiosità di questi osservatori, negli occhi stupefacenti di chi è uso alla letteratura e si trova in un cortile di officina. Chi entra nella Fiat può credere di trovarsi in un grande albergo moderno, pulito, con scale simmetriche, con grandi porte a vetri. Tutto bianco, niente decorazioni, i soli mobili indispensabili: squallido, ma grandioso. Nel primo palazzo che vi accoglie non si lavora: ci sono uffici e scuole. L'americanismo comincia con la filantropia; una filantropia fatta di calcolo e di utile reciproco. L'idea deve essere stata di Agnelli, l'uomo delle intuizioni e delle accortezze psicologiche. Non si capirebbe la fortuna della Fiat e la sua popolarità tra le folle se non si pensasse a queste qualità, diciamo pure poetiche, di Agnelli: il capitano d'industria che sa capire e sfruttare (negli altri!) il valore del disinteresse, l'uomo che sa conquistarsi le
simpatie col sorriso .[...] Agnelli capisce il valore delle forme e dei gesti, l'utilità di sapersi mostrare non aridi, proprio quando l'impresa è fondata sull'aridità e sul commisurare i prezzi di un uomo e della sua vita a i prezzi delle macchine. Agnelli ha le sue risorse poetiche, come quando salutò Mussolini a nome di Torino, prima che parlasse il prefetto, scavalcando tutte le gerarchie. Al tempo delle agitazioni socialiste era il solo industriale che riuscisse a trattare con le masse; alle quali confidava piacevolmente che sarebbe rimasto loro imprenditore in regime collettivista. [...] In Agnelli sotto l'istinto del despota, si sente lo spirito della moderna democrazia industriale, nutrita di finanza e di politicantismo, malata di demagogia tribunizia, ma fatalmente suscitatrice di correnti popolari, di rigorosi entusiasmi autonomi, di senso del sacrificio e di volontà di libertà.  Invece, entrando nei veri e propri stabilimenti del lingotto, si ha la sensazione di un altro ambiente e di un'altra organizzazione. Dal "Laboratorio prove materiali" al "Montaggio", dal primo all'ultimo piano (con pista di collaudo sopraelevata, a ventisette metri di altezza), tutto procede secondo il più rigoroso taylorismo. L'ingegnere che ci accompagna ci spiega come i pezzi non tornano mai indietro; sottoposti ai più formidabili processi, si trasformano, si fondono, si riuniscono fino a formare una delle sessanta macchine che, oggi, in periodo di disoccupazione, si producono quotidianamente.  Per descrivere il cammino di questa materia Ariosto cercherebbe immagini infernali. I magli poderosi spaventano con le loro scintille i visitatori letterati. Sembra che per resistere a questa vita quotidiana sia necessaria un'anima eroica. Invece tutto è semplice, normale, sicuro: qui domina l'anima dell'ingegner Fornaca, il rovescio della medaglia di cui Agnelli è la fronte; il punto arido e feroce, lo spirito d'ordine e continuità, il fanatico freddo e inesorabile, che ogni giorno deve foggiare dalla materia grezza 60 nuove automobili secondo il sistema di divisione del lavoro a cui egli presiede. E' il dominatore senza indulgenza, il sacrificato, la vittima. Se Agnelli è il capitano, egli deve essere lo sbirro, innocente eroe del regime capitalista. Per Fornaca la Fiat deve essere un orologio: e i congegni contano per la puntualità secondo il prezzo; gli uomini secondo il costo del premio di assicurazione sulla vita.  Mentre la nostra guida spiega i congegni ed enuncia cifre  épatantes io guardo gli uomini. Hanno tutti un atteggiamento di dominio, una sicurezza senza pose; e pare che in noi vedano dei dilettanti ridicoli da considerare con disprezzo. Hanno la dignità del lavoro, l'abitudine al sacrificio e alla fatica. Silenzio, precisione, presenza continua; una psicologia nuova si tempra a questo ritmo di vita: il senso di tolleranza e di interdipendenza ne costituisce il fondo severo; mentre la sofferenza contenuta alimenta con l'esasperazione le virtù della lotta e l'istinto della difesa politica. Quando Mussolini venne a cercare il loro applauso, questi operai dovettero guardarlo col muto disprezzo che leggo adesso nei loro occhi. Essi sanno far rispettare le distanze.
 I dilettanti, i dinamici, traggono un sospiro di sollievo quando si giunge all'ultimo piano dello stabilimento: sulla pista. Peccato che ci sia ancora la nebbia fitta! Non si può godere il panorama, gustare la poesia delle Alpi nevose! La nostra guida ci ricorda la gioia di Mussolini
quando fu quassù, nella palestra di Nazzaro e di Bordino, lontano dagli operai diffidenti e noiosi. Ricorda il giro fatto dal re del Belgio a 140 Km, dalla regina a 137. Siamo all'aria aperta; nel regno della velocità, spettacoli, feste. La vita è dei dinamici, dei più veloci. Le
fantasie meridionali sono soddisfatte. Marinetti dirà il canto dei motori: parole in libertà ed entusiasmi consolanti.
     Sotto si prepara la morale del lavoro, la civiltà dei produttori.
 
 
 
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